Social management museale


La scorsa settimana ho avuto modo di seguire un seminario su social media e musei, tenuto da Sree Sreenivasan, docente di digital media al master di giornalismo della Columbia University. Dall’ottobre 2016 è Chief Digital Officer della città di New York e fino a poco tempo prima responsabile della comunicazione digitale del Metropolitan Museum.

Fra le prime cose che ha illustrato è stata la diffusione dei dispositivi mobili e la loro presenza pervasiva nel mondo moderno, facendo un paragone fotografico fra l’elezione al soglio pontificio di Benedetto XVI e di papa Francesco

Sree social

Come si può notare, nel 2005, quando Joseph Ratzinger è stato eletto papa con il nome di Benedetto XVI, pochissime persone avevano un telefono in mano e, apparentemente, solo una di quelle fotografate lo stava usando per fotografare l’evento. Al momento dell’elezione di Jorge Mario Bergoglio al soglio di Pietro con il nome di Francesco, tutte le persone fotografate stavano a loro volta riprendendo la scena con tablet e smartphone. Questo può sembrare un dato ininfluente per un museo e un’istituzione, ma non lo è. Basta vedere quante persone, in qualunque museo, usino i loro smartphone per fare una foto a un’opera d’arte, che viene condivisa su Instagram, Facebook e qualunque altro social, creando quindi interazioni e conversazioni relative al museo.

Quali sono i concorrenti di un museo per catturare l’attenzione di un utente?

La risposta per Sree è molto semplice:

sree social

I concorrenti non sono gli altri musei, ma servizi di streaming video come Netflix e app come Candy Crush, che calamitano l’attenzione degli utenti, distogliendoli dai contenuti proposti dai musei. Una delle possibili risposte, sono estensioni per i browser, come quelle create dal Metropolitan Museum, che offrono ogni giorno un contenuto diverso proveniente dal catalogo delle opere d’arte conservate nel museo. Quando Sree ha mostrato questa slide, c’è stato un Awwwwwww collettivo:

sree social gatti

Ogni giorno questa estensione mostra un gatto proveniente dalle opere conservate al MET, e lo stesso fanno le estensioni dedicate ai cani, ai cavalli e alle giraffe. Il risutlato di queste e di molte altre operazioni legate al digitale è stato che il MET è diventato il museo più influente a livello di conversazioni nel web. Più importante quindi di musei molto più famosi, come il MOMA.

Nel question time successivo alla conferenza, è stato chiesto se i musei, come ha provato a fare il MAO di Torino con questo progetto, possono sfruttare la Realtà Virtuale per offrire nuovi percorsi ai loro visitatori. La risposta di Sree è stata affermativa, ma con piccoli esperimenti, soprattutto ora che la tecnologia è ancora in fase quasi sperimentale, in modo da evitare di rischiare di spendere grandi somme per strumenti che rischiano di essere obsoleti dopo breve tempo. Inoltre un consiglio che ha dato è stato quello di appoggiarsi a chi con la tecnologia della Realtà Virtuale ci lavora quotidianamente, senza spendere somme astronomiche pur di fare tutto in casa. Io, al contrario di Sree, ritengo che la Realtà Virtuale nei musei dovrebbe entrare solo successivamente, mentre sarebbe il caso di iniziare a puntare sulla Realtà Aumentata, facendo apparire sugli smartphone dei visitatori il contesto dentro al quale erano inserite le opere che ora vengono ammirate nei musei.

Le immagini usate in questo articolo sono tratte dalle slide usare da Sree Sreenivasan durante il seminario e che potete trovare a questo indirizzo: http://bit.ly/sree3yrs

About Alberto Treleani

Laureato in Storia Medievale, ho frequentato un master in Economia, Management, Valorizzazione e Promozione del Turismo. Seguo con interesse il mondo dei social network. Amo molto la fotografia e il buon cibo, ma non amo fare foto al cibo.

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